I disturbi dell’alimentazione più propriamente definiti disturbi del comportamento alimentare (DCA) sono un gruppo di patologie caratterizzate da un’alterata relazione con il cibo associata spesso ad una visione distorta del proprio corpo.
Infatti, un paziente affetto da DCA presenta comportamenti finalizzati al controllo del peso o all’incapacità di gestire le proprie emozioni sfogandosi con ricorrenti abbuffate, atteggiamenti che protratti nel tempo compromettono la salute fisica e mentale. Purtroppo, ad oggi, rappresentano una vera e propria epidemia sociale, solo in Italia circa 2 milioni di persone presenta un DCA, ma la cosa ancora più preoccupante è che sono patologie maggiormente diffuse tra le ragazze in età adolescenziale tra i 12 e i 25 anni.
Quali sono le cause scatenanti dei disturbi del comportamento alimentare?
I DCA sono patologie molto complesse che interessano oltre che l’aspetto nutrizionale soprattutto l’aspetto psicopatologico; spesso, infatti, il disturbo alimentare è associato ad altre patologie di natura psicologica come: depressione, disturbi d’ansia, disturbo ossessivo-compulsivo e i disturbi di personalità.
Gli eventi che aumentano la probabilità di sviluppare un DCA sono diversi, ad esempio:
- la presenza in famiglia di persone con disturbi dell’alimentazione, depressione o abuso di sostanze;
- il pregiudizio sulle proprie abitudini alimentari, l’aspetto fisico e il peso corporeo;
- tratti di personalità ossessiva, bassa autostima, tendenza al perfezionismo;
- eventi traumatici: abusi fisici e psicologici o la morte di una persona cara.

Vediamo come si classificano i disturbi del comportamento alimentare.
Il Manuale statistico e diagnostico per le malattie mentali (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders Five Edition- DSM V) include nei DCA:
- Anoressia nervosa (AN);
- Bulimia nervosa (BN);
- Disturbo di alimentazione incontrollata (Binge eating disorder).
Ognuno di essi si differenzia per i diversi comportamenti che il paziente assume:
Il paziente anoressico ha una forte ossessione per l’aumento di peso e tale fobia si traduce in un’eccessiva restrizione alimentare. Le persone affette da anoressia non riescono ad avere un’immagine di sé stessi reale, ma hanno una percezione distorta del proprio corpo che li induce sempre di più ad una restrizione calorica.
La bulimia invece, è caratterizzata da episodi di abbuffate e ricorrenti condotte compensatorie per prevenire l’aumento di peso. I pazienti affetti da bulimia sono in grado di ingerire un’eccessiva quantità di cibo senza rendersi realmente conto di quanto o di cosa stanno effettivamente ingerendo, ed è come se avvertissero la sensazione di non riuscire a smettere di mangiare o controllare cosa o quanto mangiano.
Solitamente queste abbuffate si verificano in seguito a un periodo di dieta ferrea e ipocalorica; infatti, gli alimenti ingeriti sono tendenzialmente quelli che la persona non era abituata a consumare definendoli “alimenti tabù” (cibi altamente calorici).
Le crisi bulimiche però provocano nel paziente un’alterazione dell’umore, passando da un’iniziale sensazione di sollievo a cui segue una sensazione di angoscia per la paura di ingrassare e di rabbia perché non si è stati in grado di controllarsi, così ogni abbuffata viene compensata con vomito autoindotto, abuso di lassativi ed enteroclismi.
Il binge eating disorder può essere confuso con la bulimia nervosa, ma ciò che li differenzia è la non presenza di episodi di condotte compensatorie per il controllo del peso in seguito alle abbuffate. Infatti, i soggetti affetti da tale disturbo sono per lo più pazienti in sovrappeso e obesi. Le abbuffate recano in loro una sensazione di disagio e imbarazzo per questo spesso mangiano di nascosto a parenti e amici, e immediatamente dopo l’abbuffata provano disgusto verso sé stessi e il loro corpo, non inseguendo però ideali di bellezza eccessivamente magri.
Inoltre, possono assumere altri comportamenti alimentari patologici come lo spelluzzicare tra i pasti (grinottage) e la fame nervosa (emotional eating) perché sfogano le loro emozioni nel cibo, che rappresenta per loro la cura o meglio la soluzione per attenuare uno stato di stress e nervoso.
Come si può intervenire per curare i disturbi del comportamento alimentare?
Il loro trattamento prevede il coinvolgimento di diverse figure professionali: psichiatra, psicoterapeuta, nutrizionista, gastroenterologo, endocrinologo e ginecologo che interagiscono e collaborano insieme al fine di assicurare al paziente la terapia più efficace. Il percorso che porta verso la guarigione non è assolutamente un percorso facile e che si conclude in poco tempo, per questo è importante che il paziente riceva il giusto supporto da parte non solo degli specialisti ma anche della famiglia e degli amici.
In genere il trattamento prevede una riabilitazione nutrizionale affiancata da terapia di natura psicologica come ad esempio: terapia cognitivo-comportamentale individuale e di gruppo, terapia interpersonale, terapie familiari, terapia di riabilitazione cognitiva, auto-aiuto.
In che modo il nutrizionista può aiutare un soggetto affetto da DCA?
Premettendo che per questi disturbi l’affiancamento nutrizionista-psichiatra è di fondamentale importanza, il nutrizionista ha il solo compito di aiutare il paziente ad acquisire delle buone abitudini alimentari, attraverso un percorso di educazione alimentare. Per riuscire nel suo scopo è fondamentale che tra il paziente e il nutrizionista si instauri una relazione terapeutica basata sulla fiducia e l’empatia, coinvolgendo in modo attivo il paziente spiegando e illustrando il percorso che dovrà affrontare. Come è stato già detto, essendo un percorso particolarmente delicato da affrontare quando è opportuno può essere utile coinvolgere anche la famiglia nella terapia promuovendo il controllo genitoriale sui pasti effettuati al fine di garantire una maggiore aderenza al trattamento.

Lo scopo della riabilitazione nutrizionale è quello di ristabilire un peso compatibile con la salute fisica e mentale. Si procede per gradi inserendo in modo guidato tutti i cibi, compresi quelli considerati ingrassanti; affrontando così sia il problema della “quantità” che della “qualità” del cibo.
Il piano alimentare viene strutturato in tre pasti principali più uno o due spuntini, anche se questo non deve essere inteso come uno schema fisso e uguale per ogni tipo di paziente, in quanto il professionista concorda con il paziente la quantità e la tipologia di cibi da inserire, al fine di favorire una maggiore aderenza al piano.
La terapia ambulatoriale è efficace solo nei casi non particolarmente gravi, per i casi di maggiore entità (ad esempio pazienti con un forte sottopeso) sono necessarie strutture riabilitative specializzate.
In supporto alla terapia, nei casi più lievi, si può ricorrere all’uso di piante per allievare gli stati depressivi, di ansia e di stress:
l’Iperico, ad esempio, rappresenta un vero e proprio farmaco per il trattamento delle depressioni lievi; e a supporto di questo si può consigliare l’utilizzo della Griffonia che è in grado di contrastare l’abbassamento del tono dell’umore, così come la Rodiola una pianta medicinale, in grado di contrastare lievi sintomi depressivi associati alla debolezza e all’astenia, utile per rinvigorire mente e corpo.
Nei disturbi alimentari la prevenzione è fondamentale!
Essendo delle patologie molto gravi che se protratte nel tempo possono portare all’insorgenza di altre patologie altrettanto gravi la prevenzione gioca un ruolo centrale. È importante, infatti, informare educare e sensibilizzare i giovani e le famiglie, su questo tema per ridurre e/o eliminare i fattori di rischio, ed essere in grado di riconoscere l’insorgenza del disturbo fin da subito; è stato confermato, che un trattamento intrapreso nelle fasi iniziali della malattia ha una maggiore efficacia.