Come già accennato dalla dottoressa Donato in questo articolo, i Disturbi del Comportamento Alimentari (DCA) sono patologie davvero complesse.
Queste si possono sviluppare e rimanere nell’esistenza quotidiana di chi ne soffre, anche per molto tempo; le cause possono essere molteplici e ostacolano il normale svolgimento della vita di chi le sperimenta, causando grandissimi disagi sotto ogni aspetto.
Dal punto di vista psicoterapeutico negli ultimi anni si sono fatti grandi, grandissimi passi avanti: è stata una necessità impellente: non si poteva non rispondere al numero crescente di morti e di ricoveri ospedalieri che avvengono a causa di questa tipologia di malattie.
Per fortuna vi è stata una presa di coscienza molto forte e sentita, non solo nell’ambito dei professionisti del settore, ma anche nella comunità sociale con cui ogni individuo si deve confrontare giorno per giorno.
Ambienti come quelli della scuola, dei posti di lavoro e della salute pubblica iniziano ad impegnarsi e a supportare la realtà della salute mentale.
Anche se siamo all’inizio di una nuova presa di coscienza, questa realtà rimane ben lontana dal NON vergognarsi quando ci viene diagnosticata una patologia della psiche (al contrario della normalità con cui ci rapportiamo con quelle riguardanti il nostro corpo fisico).
Alcuni nuovi giovani influencer si stanno mettendo molto d’impegno per normalizzare l’aspetto della salute mentale, parlando liberamente ed apertamente, sulle piattaforme social più diffuse, dei percorsi di psicoterapia che loro stessi seguono e/o delle loro problematiche, legate all’alimentazione e all’aspetto estetico del proprio corpo.
Ma ancora, la tematica della salute mentale non è stata sdoganata completamente, proprio come quando facciamo finta che il surriscaldamento globale non sia rilevante: sappiamo che esiste ma non facciamo niente per far produrre meno alle fabbriche, continuiamo a non comprare cibo locale e ad utilizzare bottiglie di plastica… così con la salute mentale, siamo consapevoli delle sua gravità ma ci rendiamo indifferenti alle fragilità e alle sofferenze altrui.

Quando si parla di DCA questo è ancora più grave: andando avanti nella sua evoluzione l’uomo è sempre stato più o meno suscettibile a diverse patologie piuttosto che ad altre (nel ‘300 si moriva di peste, oggi si muore per la ricerca di una perfezione malata), ma una cosa dura nel tempo: ognuno di noi è un individuo completamente a sé.
Ogni persona affetta da DCA può presentare infatti uno o più dei molti sintomi che li caratterizzano; pensa che, addirittura, alle volte non sembra esserci alcun apparente sintomo perché chi ne soffre li nasconde.
Non a molti piace la pietà, non piace a chi soffre di epilessia o di altre gravi patologie fisiche, immaginiamoci quanto possa non piacere a chi viene definito “malato mentalmente” e, oltretutto, percepisca in sé un grande senso di frustrazione e vergogna.
In questi casi dunque, raramente il malato chiede aiuto, più che altro incorre nel tentativo di nascondere quanto più possibile la propria condizione.
Tutto ciò rende difficile la diagnosi e il trattamento del disturbo ma lo psicologo, affiancato dal nutrizionista, una volta identificato il quadro clinico deve e può essere la figura di riferimento capace di scegliere terapie ad hoc da modificare nel corso del tempo, in base al raggiungimento degli obiettivi del paziente o dell’andamento del suo percorso terapeutico.
Infatti, pur mantenendo molti elementi in comune, ogni DCA si differenzia in modo specifico dall’altro, in base a diverse caratteristiche psicologiche come:
- la personalità;
- i meccanismi psicobiologici;
- i fattori ambientali e culturali;
- gli eventi traumatici pregressi.
Questo insieme di fattori va ad influenzare la percezione di sé e l’importanza attribuita all’aspetto fisico ed insieme costituiscono un’immagine corporea del soggetto che può diventare un fattore di rischio e mantenimento nello sviluppo di un DCA.
L’immagine corporea: quando si è ossessionati dallo specchio
“Sono mesi che evito di guardarmi allo specchio perché quando lo faccio non provo altro che odio nei miei confronti… desidero solo di… sprofondare”
Come già detto, ogni DCA è a sé e ogni persona che ne soffre, pure. La frase qui sopra riportata rappresenta solo una tipologia di reazione e azione al riflesso della propria immagine. Ce ne sono di tantissime altre, molto diverse fra loro.
Il concetto di immagine corporea ha un ruolo centrale nella probabilità di sviluppare un DCA, perché questo comprende:
- l’insieme dell’immagine che abbiamo del nostro corpo;
- come lo percepiamo;
- come lo valutiamo;
- i sentimenti che proviamo rispetto ad esso.
Dall’insieme di queste componenti deriva la soddisfazione (o insoddisfazione) per il nostro aspetto fisico e l’investimento che viene fatto su di esso.
La soddisfazione o l’insoddisfazione per il proprio corpo nasce dalla corrispondenza o meno di come percepiamo il nostro aspetto con gli ideali estetici interiorizzati.
Nel momento in cui ci guardiamo allo specchio, indossiamo un paio di pantaloni o saliamo sulla bilancia e percepiamo una discrepanza tra noi stessi e quello che consideriamo il corpo ideale, si generano dei sentimenti negativi.
Ecco dunque che appare l’insoddisfazione, e come sua conseguenza, un possibile sviluppo di comportamenti alimentari disturbati.

Per investimento nell’immagine corporea invece, si intende l’importanza che gli individui danno al proprio aspetto invece, sia in termini di comportamenti che in termini di pensieri:
- passare più o meno tempo a preoccuparci del nostro aspetto fisico e di come questo venga valutato dagli altri;
- mettere in atto comportamenti di Body checking come guardarsi continuamente allo specchio o evitare di guardarsi;
- pesarsi più volte al giorno per verificare la perdita di peso;
- chiedere continue rassicurazioni sul proprio aspetto alle altre persone.
Coloro che sono insoddisfatti della propria immagine corporea, alla quale danno molta importanza, passeranno molto del loro tempo a controllare e cercare di rimediare i difetti percepiti per minimizzare la differenza tra come si percepiscono e come vorrebbero, o sentono che dovrebbero essere per raggiungere lo standard ideale.
Questo meccanismo avviene di continuo, per ogni contesto nella nostra vita che sia il lavoro o le relazioni o ogni altra sfera ed in qualche modo il nostro cervello cerca di rimuovere questa sensazione di “non sentirsi abbastanza …” attraverso le risorse di cui disponiamo.
Parlando dell’immagine corporea, se presenti anche altri fattori, un rapporto di disagio con questa può essere determinante nello sviluppo di un disturbo alimentare.
Non a caso nei DCA è sempre presente una qualche forma di alterazione nel modo di percepire la propria immagine corporea e i sentimenti legati ad essa; in particolar modo nell’Anoressia Nervosa e nella Bulimia, dove si riscontra una continua insoddisfazione per il proprio peso e per il proprio aspetto.
In questi disturbi vi è un grande investimento di tempo e la presenza di sentimenti negativi nei confronti del cibo, che si traducono in comportamenti ripetuti con più o meno frequenza al fine di migliorare la propria condizione:
- episodi di Binge, quindi di abbuffate
- comportamenti di Purging, ovvero di eliminazione attraverso il vomito
- l’uso di lassativi – eccesso di attività fisica.
Queste azioni vengono messe in atto per sopperire alla sensazione di disagio e di senso di colpa che si prova dopo aver mangiato: molte di queste persone sperimentano una vera e propria perdita del controllo arrivando ad ingerire una grande quantità di cibo che cercano di eliminare subito dopo (questo non avviene nel disturbo Binge eating) per ristabilire il controllo.
Lo psicologo nel suo percorso terapeutico con il paziente che soffre di DCA dovrà confrontarsi con una qualche forma di alterazione dell’immagine corporea e con i sentimenti negativi associati ad essa.
Molte delle terapie cognitivo-comportamentali, infatti, si incentrano sulla ristrutturazione di queste cognizioni con lo scopo di identificare e cambiare i pensieri distorti e non realistici legati al proprio aspetto ed agli ideali interiorizzati nel tempo.
Dopo di che sarà possibile intervenire sui comportamenti di evitamento o controllo con lo scopo di interromperli.
Gli ideali estetici interiorizzati: da dove arrivano?
Gli ideali estetici non sono un nostro tratto di personalità, piuttosto si sviluppano all’interno del contesto sociale e culturale in cui viviamo, vengono assimilati e finiscono per influenzare la nostra immagine corporea.
La continua enfasi sulla magrezza con commenti come “ma quanti kg hai perso? Stai benissimo!”, ed azioni da parte dei pari, dei genitori e dei media rende vero che “ultra-magro=bellezza e perfezione”.
L’interiorizzazione di questi ideali promossi dall’ambiente esterno viene incorporata fino a diventare un principio interiore che va ad influenzare i nostri pensieri ed i nostri comportamenti volti al miglioramento del proprio aspetto secondo gli standard percepiti.
Prevenire? Sì, renditi conto che…
Un fattore di protezione è rappresentato dalla consapevolezza dell’esistenza degli ideali di magrezza, ovvero sapere che esistono degli ideali condivisi dalla società ed imparare ad accoglierli con grande senso critico.
Va riscoperta la bellezza della salute, l’accettazione e l’apprezzamento per la diversità.
Lavorare sulla propria immagine corporea è un percorso che va a cercare di sradicare quelle credenze e quegli ideali che sono stati assimilati fino a diventare nostri.
Capisci quanto può essere complesso?
Anche per questo il trattamento dei DCA risulta spesso molto lungo, difficile e pieno di ricadute.
Il ruolo dello psicologo, insieme a quello degli altri professionisti che accompagnano il paziente in questo percorso, è proprio quello di andare a costruire e ripristinare gli equilibri psicofisici del paziente, in modo da sviluppare un cambiamento che porti alla consapevolezza di sé ed all’accettazione del proprio modo di essere e di sentire.
Devi volerti bene!